#29 — Un esercizio mentale (ft. Elena Fortunati)
Souvenir di viaggio, amori pazzeschi e assoli di piano.
Bentrovati,
fermarsi per riuscire a trovare qualcosa di bello attorno a noi, magari da condividere con gli altri, in quest’epoca è una sfida. Per questo ringrazio Giulia, che mi ha invitato a contribuire a questa newsletter, invogliandomi ad affrontare tutto questo come esercizio mentale. Mi sono guardata attorno negli ultimi mesi e ho trovato questo:
1 — Ragnar Kjartansson, “The visitors”
Questa estate mi sono concessa di dimenticare la realtà e tutta la sua routine con un bagno di cultura nordica nei Paesi Scandinavi.
Primo giorno a Copenaghen: treno direzione Humlebæk, dritti fino al Louisiana Museum. In quelle settimane una delle mostre in corso era “Epic Waste of Love and Understanding” di Ragnar Kjartansson, artista islandese del 1976. In una delle tante sale immerse in un giardino uggioso vista mare, l’installazione “The visitors”. Nove schermi proiettano ognuna delle stanze della storica dimora di Rockeby, nello stato di New York. In ogni stanza, separati o insieme, si esibiscono Kjartansson e i suoi amici musicisti in una canzone scritta insieme a Ásdís Sif Gunnarsdóttir, ex moglie dell’artista islandese. Il titolo, “The visitors”, riprende il titolo dell’ultimo album degli ABBA prima della reunion del 2016. La performance dura quasi un’ora ed è come una dose di consolazione nei momenti di poca speranza. Vederla online non rende del tutto, ma i commenti degli utenti sotto il video compensano le mancanze.
2 — MacGuffin, “The life of things”
Negli ultimi anni, per motivi lavorativi, ho avuto preziose occasioni di condivisione con persone che hanno attirato la mia attenzione costantemente con consigli e suggerimenti. Ognuna di loro ha lasciato tracce significative, come questo magazine, che per me non è solo un meraviglioso prodotto editoriale, ma una filosofia di vita.
MacGuffin — “The life of things” è una rivista semestrale olandese per designer e architetti, che in ogni numero analizza un oggetto della nostra vita quotidiana entrando dentro ogni aspetto della sua esistenza: le sue forme, la sua storia, la sua storia nelle diverse culture, le evoluzioni. Oltre 200 pagine che raccontano, attraverso ricerche iconografiche e saggistiche, le miriade di prospettive con cui si può guardare un oggetto. L’ultimo numero è dedicato ai tronchi. Da recuperare assolutamente i numeri dedicati alle catene e alla scrivania.
3 — “Fire of love”
Forse è un consiglio troppo vecchio, ma non mi sarei perdonata di far inviare a Giulia questa mail senza menzionare questo piccolo capolavoro. Se a più di un anno dall’uscita, lo sento ancora così forte nella mia memoria, ci deve essere una motivazione che va ben oltre le uscite della stagione.
“Fire of love” è il documentario girato da Sara Dosa che racconta la vita dei coniugi Krafft, scienziati appassionati di vulcanologia che girano tutto il pianeta a caccia di eruzioni, documentando — non solo scientificamente — le proprie scoperte. Filmeranno ogni loro spedizione, studiando attentamente i fenomeni e apportando un contributo importante nella comunità scientifica, alla quale non furono mai integrati. Il documentario è un equilibrio perfetto tra scienza e arte, morte e vita, conoscenza e istinto.
4 — “My Love: six stories of true love”
Restando nella medesima sezione ma in tempi più recenti, nelle ultime settimane, nonostante lo scetticismo che mi contraddistingue per i prodotti documentaristici di Netflix, sto portando avanti la visione di “My love: six stories of true love”, una serie di sei puntate, girate da diversi registi in diversi paesi del mondo, che racconta le storie di sei coppie veterane che condividono il loro amore in ritratti realizzati nel corso di un anno.
Leggendo online le recensioni, sembra si tratti di un’ode all’amore che può durare oltre 50 anni. A mio avviso quello che spicca è la sincerità con cui viene raccontata un’età spesso nascosta nei programmi di intrattenimento: il rapporto con il dolore, con l’idea della morte, con la malattia, con la propria quotidianità e sì, anche con l’amore.
5 — “Éthiopiques”
E prima di allontanarmi da questa pagina bianca, vi saluto con un suggerimento musicale che, se vi sorprenderà, potrà durare ore lunghissime di ascolto.
Si tratta di “Ethiopiques”, la serie che dal 1997 celebra la musica etiope d'epoca attraverso la pubblicazione di volumi su CD e vinile. Un patrimonio immenso di talenti dimenticati come Emahoy Tsege Mariam Gebru, suora etiope ma soprattutto pianista eccezionale che pubblicò il suo primo disco in Germania nel 1967. Scomparsa quest'anno alla soglia dei suoi 100 anni, ha raccolto nel volume 21 di “Éthiopiques” i suoi assoli di piano.
Vi abbraccio tutti: è stato un piacere condividere questo tempo e queste preziose conoscenze con voi. Io sono Elena e potete trovarmi qua.
Giulia — Ad Elena, che di cognome - per la cronaca - fa Fortunati, non ho mai detto che mi ricorda moltissimo Sofia Coppola. Dovreste conoscerla dal vivo, me ne rendo conto, per darmi o meno ragione. Ma la curiosità, la cura, lo sguardo sul mondo mi sembrano gli stessi. Ora verrà anche fuori che a lei la Coppola sta sulle scatole, mentre a me affascina moltissimo, come mi ha sempre affascinato il mondo attraverso gli occhi di Elena. Ci si sente esattamente come spero vi sentiate ora voi alla fine di questa mail.
Vi saluto anche io,
G.